«Gli invalidi della Costituzione», così si intitola un bel volume pubblicato più di venti anni fa da Nicola Antonetti e dedicato alla storia del Senato del Regno d’Italia tra il 1848…

«Gli invalidi della Costituzione», così si intitola un bel volume pubblicato più di venti anni fa da Nicola Antonetti e dedicato alla storia del Senato del Regno d’Italia tra il 1848 ed il 1924. Gli invalidi erano appunto i senatori, i componenti di nomina regia della Camera alta che, sebbene dichiarati dalla legge «primo corpo dello Stato», erano in realtà impossibilitati a svolgere un ruolo effettivo, perché senza forza rispetto al re e al governo che li nominava (con le cosiddette “infornate”) e sostanzialmente sconosciuti al popolo. Il tema della riforma del Senato regio è d’altra parte un fil rouge che accompagna l’intero periodo statutario.

Oggi, che la commissione dei saggi si è insediata ed ha cominciato i propri lavori proprio dal problema del bicameralismo – e dunque del ruolo da attribuire al Senato – ci si torna ad interrogare su quale debba essere la direzione da intraprendere per riformare il Senato della Repubblica. Perché su di un punto tutti concordano: il bicameralismo paritario e perfetto, che conosce solamente l’Italia, va superato. Un Senato che accordi e revochi la fiducia come la Camera, non serve; che legiferi e controlli l’operato dell’esecutivo in modo identico alla Camera, non serve; che rappresenti gli stessi interessi e le stesse componenti elettorali dell’altro ramo del Parlamento, non serve. Allo stesso modo, però, è condivisa la convinzione – tra i saggi certamente – che sia opportuno mantenere il bicameralismo. L’esistenza di una seconda Camera è da sempre vista con un duplice scopo: il primo, che risale alle primissime teorizzazioni, è quello di creare un bilanciamento di poteri e di svolgere una funzione di moderazione e “raffreddamento” delle decisioni assunte dalla Camera; il secondo, riconducibile ad un’esigenza costituzionale più recente, almeno per la storia italiana, è quello di dare una sede di rappresentanza, non già e non più ai diversi ceti, quanto al pluralismo territoriale. Basta dare uno sguardo anche solo ai 27 Paesi dell’Unione Europea per farsi un’idea chiara: 14 Stati hanno un sistema monocamerale, ma fra questi sono ricompresi quelli dalle limitate dimensioni (Lussemburgo, Cipro, Malta, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia); i restanti 13 hanno sistemi bicamerali e in ben 8 casi si tratta di Stati rilevanti dal punto di vista territoriale e con una storia costituzionale matura (Regno Unito, Austria, Germania, Francia, Olanda, Belgio, Spagna, Italia). Sul tavolo dei saggi le problematiche da affrontare, oltre a ridurre il numero, riguardano lo snellimento del procedimento legislativo (non per tutte le leggi dov’essere necessario l’intervento di entrambe le Camere), la miglior definizione della forma di governo (limitando il circuito fiduciario alla sola Camera), la valorizzazione del ruolo del Senato come Camera delle autonomie (a prescindere dalle modalità di elezione), l’individuazione delle funzioni (anche di garanzia) da affidare al Senato. Le soluzioni adottate altrove ben potranno fungere da guida per fare in modo che il Senato riformato, non solo non perda, ma acquisisca dignità nel sistema, non diventi un altro inutile organo consultivo come il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (piuttosto, aboliamo il CNEL!). E per fare in modo che i senatori non siano degli «invalidi della Costituzione».

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